1. Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.
2. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente ordine, albo o registro ai fini dell'applicazione dell'interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata.
3. Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.
Qualcuno starà pensando che sto giocando facile nell’affrontare un tema così importante e delicato, vista la mia laurea in giurisprudenza. Probabilmente si!
In tanti mi chiedono come mai con una laurea in giurisprudenza nella mia vita lavorativa ho scelto di insegnare Pilates e fitness. Personalmente trovo questa domanda sbagliata nelle sue fondamenta. Innanzitutto la vita con le sue vicissitudini, positive o negative che siano, ci porta talvolta a intraprendere strade diverse, spesso non programmate. In più penso che la scelta verso un percorso universitario piuttosto che un altro non necessariamente debba essere legato solo ed esclusivamente a un fine lavorativo. Soffermando l’attenzione sul diritto, possiamo affermare che il suo studio è importante in ogni aspetto della nostra vita. Ho sempre considerato la mia preparazione giuridica come la mia grande guida anche nella professione che attualmente svolgo. Sicuramente qualcuno di voi si starà chiedendo: “Ma in cosa ti guida, Irene?” Vi spiego subito.
Partiamo dal presupposto che spesso i confini tra una professione e un’altra non sono sempre chiari e ben definiti. Questo può portare un lavoratore di una determinata professione a “invadere” altri ambiti lavorativi, a volte per ignoranza nella legge, a volte ahimè per presunzione o senso di superiorità. In entrambi i casi la legge non perdona. Ricordiamo l’art. 5 c.p., il quale afferma che: “Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale”, salvo non si tratti di ignoranza inevitabile. Vedremo nei paragrafi successivi però che la giurisprudenza tende a responsabilizzare chi svolge una determinata professione e a porgli quindi l’obbligo di documentarsi e informarsi sui confini entro i quali deve praticare la sua professione.
Esistono professioni per le quali ex lege devono essere esercitate solo ed esclusivamente da chi ha concluso un percorso di studi normativamente ben disciplinato e abbia ottenuto l’abilitazione per il suo esercizio con apposita iscrizione al relativo albo. Si pensi alla professione medica, al fisioterapista o al nutrizionista. Cito queste tre professioni perché sono spesso le professioni più abusate nell’ambito del mio settore.
Noi istruttori di fitness, di Pilates o di qualsiasi altra disciplina non possiamo fare diagnosi o prescrivere farmaci, non possiamo prescrivere diete alimentari, né tantomeno praticare fisioterapia su soggetti alla quale è stata prescritta.
E se dovessimo cadere in errore, a cosa andiamo incontro? Commettiamo un illecito?
Ebbene sì. Se nell’ambito del nostro lavoro da istruttore o operatore olistico compiamo azioni che rientrano in una professione, per la quale la legge richiede una ben definita competenza, cadiamo nell’ambito di applicazione dell’art. 348 c.p., ovvero nel reato dell’esercizio abusivo di una professione.
Come ogni fatto penalmente punibile anche questo reato necessita di analisi specifica per poter essere pienamente compreso.
Analizziamolo quindi nel dettaglio.
Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che l’interesse generale tutelato dalla norma sia l’interesse pubblico volto a evitare che attività delicate e socialmente rilevanti siano svolte da soggetti che non siano stati giudicati idonei dal punto di vista professionale e morale al loro esercizio. Determinate attività infatti richiedono competenza tecnica specifica. L’interesse pubblico della pubblica amministrazione mira all’esercizio di tali professioni da parte di chi, “avendo acquisito una speciale abilitazione amministrativa, risulti in possesso delle qualità morali e culturali richieste dalla legge” (Cass. Sez. VI, 1207/1985).
In passato era controversa la questione riguardante l'individuazione dei soggetti passivi del reato, ovvero l’identificazione di quali soggetti potessero essere considerati danneggiati alla violazione della norma penale.
Secondo la giurisprudenza prevalente il soggetto passivo è soltanto lo Stato, con conseguente esclusione sia della clientela vittima dell’esercizio abusivo della professione illegittimamente esercitata sia degli ordini professionali di categoria, i quali secondo questa interpretazione sono danneggiati solo per via indiretta. Questo filone è supportato anche dalla collocazione che il legislatore ha riservato al reato in oggetto, ovvero tra i reati dei privati contro la pubblica amministrazione.
Secondo altri filoni giurisprudenziali invece tra i soggetti passivi del reato e quindi tra i soggetti danneggiati, oltre lo Stato, devono essere annoverati sia gli ordini professionali coinvolti sia i soggetti privati danneggiati dalla condotta dell’esercizio abusivo della professione.
Per quanto riguarda gli ordini professionali è stato infatti evidenziato che il pregiudizio da loro subito abbia carattere patrimoniale conseguente alla concorrenza sleale subita dai professionisti iscritti all’associazione di categoria medesima nel contesto territoriale in cui la professione veniva esercitata abusivamente.
Riguardo al soggetto privato leso dalla condotta illecita la questione è oggetto di un ampio dibattito, ma la giurisprudenza prevalente lo esclude dal computo dei soggetti passivi del reato.
Seguire l’uno o l’altro filone ha dei risvolti non solo meramente teorici, ma anche pratici.
Seguendo il filone giurisprudenziale prevalente, secondo il quale unico soggetto passivo è lo Stato, il soggetto leso (vittima della condotta illecita o ordine professionale) non può presentare querela, ma solo una semplice segnalazione all’autorità competente. Il reato risulta infatti perseguibile solo d’ufficio.
Ritengo importante affrontare un’altra questione molto importante. Si potrebbe pensare infatti che, escludendo dai soggetti passivi del reato colui che subisce direttamente su se stesso la condotta illecita, egli rimanga privo di tutela qualora subisca conseguenze negative dal trattamento abusivo. Ma il nostro sistema giuridico prevede il concorso di reati. Con una sola azione illecita infatti il reo può commettere contemporaneamente più reati. Se nell’esercitare abusivamente una professione egli arreca danni o, nei casi più gravi, la morte al soggetto sottoposto al trattamento abusivo, all’esercizio abusivo della professione in base all'evento verificatosi si potrebbe configurare anche il reato di:
a. lesioni personali colpose ex art. 590 c.p., il quale al comma 3 prevede addirittura uno specifico aggravamento di pena nel caso in cui le lesioni siano provocate durante l’esercizio abusivo di una professione;
b. omicidio ex art. 575 c.p. E come nella norma precedente anche questo articolo al comma 3 prevede un aggravio di pena se il fatto è commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o un’arte sanitaria.
L’art. 348 c.p. è una norma penale in bianco. Per definire infatti l’abusività dell’esercizio della professione deve essere integrata da altre norme che definiscono le professioni per le quali “è richiesta la speciale abilitazione dello Stato e l’iscrizione in un apposito albo” (Cass. pen. n. 16566/2017).
Appare evidente che l’abusività di una professione è riscontrabile verso quei mestieri per i quali è richiesto un percorso di studio, specifica abilitazione e iscrizione nel relativo albo. L’abusività risiede quindi nella mancanza dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti dalla legge come condizioni imprescindibili per esercitare la professione.
L’abusività nell’esercitare una professione sussiste pertanto in tre contesti:
1. quando manca del tutto il titolo abilitativo richiesto;
2. quando mancano gli adempimenti delle formalità richieste ex lege (es.: iscrizione all’albo o all’ordine professionale);
3. quando nonostante un provvedimento di interdizione, sospensione o inabilitazione la professione continua ad essere esercitata.
Il reato si consuma nel momento in cui è posto in essere il primo atto abusivo. Basta un unico atto per la sua realizzazione.
L’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione del reato è il dolo generico, consistente nella coscienza e nella volontà di compiere atti di una professione per la quale si è consapevoli di non possedere l’autorizzazione all’esercizio.
Qualcuno potrebbe affermare che spesso i confini tra una professione e l’altra non sono nella loro pratica ben definiti. Attenzione però: questa circostanza non esclude la commissione del reato e quindi la colpevolezza. La poca nitidezza tra una professione e l’altra non può essere infatti una scusante: come ben chiarito dalla giurisprudenza chi esercita una professione è chiamato a rispondere “dell’illecito anche in virtù di una culpa levis” (Cass. 364/1988). Coloro che svolgono professionalmente determinate attività hanno il rigoroso dovere di conoscere la legislazione vigente e i confini entro i quali la stessa deve essere esercitata.
Entriamo nel dettaglio. In Italia sussistono tante professioni che non necessitano di abilitazioni o iscrizioni in albi specifici per essere praticate. Si pensi all’istruttore di fitness o al massaggiatore olistico. Non c’è dubbio che spesso nell’esercizio concreto di queste attività ci si imbatte in situazioni delicate e particolari.
Faccio tre esempi.
1. Si pensi al massaggiatore olistico. Per esercitare questa professione è richiesta la frequenza di un corso specifico non universitario e senza iscrizione in alcun tipo di albo. La professione del massaggiatore olistico può essere praticata solo su soggetti sani e non siano affetti da patologie importanti.
Ricordiamo infatti che lo scopo dei massaggi olistici è quello di procurare rilassamento e benessere generale e non hanno alcun tipo di fine curativo. Qualora al massaggiatore olistico si presenti un soggetto affetto da patologie importanti e invalidanti, dovrebbe astenersi dal praticare su di lui qualsiasi tipo di massaggio e con professionalità dovrebbe indirizzare il soggetto verso professionisti specifici come medici o fisioterapisti.
2. Si pensi all’istruttore di fitness. Anche per l’esercizio di questa professione è richiesta la partecipazione a corsi specifici non universitari e senza iscrizione in alcun albo. Nell’ambito della professione di istruttore ci si imbatte spesso in situazioni particolari. Non mancano infatti clienti con problematiche di salute talvolta importanti. Ci sono determinate situazioni in cui l’istruttore dovrebbe astenersi dal praticare il proprio lavoro. Si pensi al cliente al quale è stata prescritta la fisioterapia e che per errore o talvolta ignoranza si rivolge invece a un semplice istruttore. Spesso le persone non conoscono la differenza tra le due professioni e tante volte l’una viene confusa con l’altra. Ma il lavoro di istruttore non può e non deve mai essere sovrapposto al lavoro del fisioterapista. I due lavori si svolgono in due ambiti diversi ed entrambi ben definiti: il fisioterapista opera in ambito sanitario e ha il compito di riabilitare in caso di patologie, interventi e/o infortuni. L’istruttore opera invece in ambito di wellness e di fitness e il suo lavoro può essere svolto su soggetti sani o ai quali è stata prescritta da medici specialistici la pratica motoria o su soggetti che hanno concluso un percorso fisioterapico riabilitativo e che necessitano di attività adatta per il mantenimento dei benefici ottenuti. Anche in questa evenienza come nel caso del massaggiatore olistico l’istruttore serio e competente dovrebbe indirizzare il soggetto al professionista specifico e invitarlo a rivolgersi a un fisioterapista.
3. Ultimo esempio: quante volte nell’ambito del lavoro di istruttore ci si imbatte in persone che necessitano di perdere peso per svariati motivi (per un semplice fattore estetico o per presenza di situazioni di salute particolari come colesterolo o glicemia alta)? In questi casi l’unico compito ascrivibile all’istruttore è quello di costruire allenamenti efficaci per il raggiungimento dell’obiettivo. Ma purtroppo nella realtà quotidiana accade spesso che lo stesso istruttore senza alcuna specifica competenza e abilitazione richiesta ex lege redige la dieta senza alcun fondamento scientifico, potendo arrecare danni anche gravi.
La professione di nutrizionista può essere esercitata solo da chi ha la specifica abilitazione richiesta ex lege ed è quindi iscritto nel relativo albo.
L’istruttore competente e serio non è di certo quello che senza competenza si arroga il diritto di redigere la dieta. Al contrario è serio e competente l’istruttore che invita il proprio cliente a rivolgersi a un vero e proprio nutrizionista.
Rileva a tale proposito la recente condanna da parte del Tribunale Monocratico di Roma ad Adriano Panzironi, più conosciuto come il “guru delle diete”. Attraverso trasmissioni televisive, i social media e la pubblicazione di un libro elargiva consigli e piani alimentari anche personalizzati senza abilitazione, accompagnando il tutto dalla vendita di integratori da lui commercializzati, i quali secondo la procura sarebbero nocivi se assunti senza prescrizione e controllo medico.
È bene evidenziare che al fine della valutazione dell’elemento soggettivo del reato non rileva la presenza o meno dello scopo di lucro. La prestazione abusiva può essere esercitata anche gratuitamente. Altresì non rileva la presenza del consenso della persona destinataria dell’attività abusiva.
Con la legge 3/2018 all’art. 348 c.p. è stato aggiunto il comma 3 il quale prevede la condanna anche di:
1. il professionista che ha determinato altri a commettere il reato;
2. il soggetto che ha diretto l’attività delle persone concorse nel reato.
Entrambi sono reati propri. Infatti è richiesta una specifica posizione in entrambi i casi.
Nel primo caso il soggetto imputabile è un professionista che si avvale dell’operato di chi non ha l’abilitazione richiesta ex lege per l’esercizio della professione.
Nel secondo caso il soggetto imputabile è colui che, rivestendo una posizione apicale, dirige l’attività presso la quale viene commesso il reato da soggetto terzo privo dei requisiti richiesti ex lege.
Risulta punibile pertanto anche chi gestisce o dirige l’attività presso la quale viene esercitata abusivamente la professione da altro soggetto, sussistendo il dovere in suo capo di vigilare sull’operato di tutti i lavoratori che praticano all’interno della sua attività.
Al di là di ogni questione giuridica e dell’analisi di ogni norma coinvolta, voglio ricordare che la professione dell’istruttore deve essere svolta in maniera seria e responsabile. Personalmente ritengo che il timore di subire una condanna debba essere surclassato da altre considerazioni prettamente morali. Non è giusto che chi abbia studiato tanti anni, abbia dedicato la sua vita per formarsi e diventare uno specialista in un determinato settore si trovi in concorrenza sleale con chi invece per presunzione, arroganza o ignoranza esercita abusivamente. E se consideriamo che con una pratica abusiva di una professione si rischia di arrecare danni o, nei casi peggiori, la morte di un essere umano trovo il tutto dal punto di vista morale ignobile e meschino.
Prima di affidare la cura del vostro corpo informatevi su quale sia il professionista più competente. Ogni professione ha degli ambiti ben definiti oltre i quali non può essere esercitata.
Il nostro corpo è la nostra casa e abbiamo il dovere di prendercene cura. Il corpo è una macchina meravigliosa, è la casa del nostro animo, è il mezzo con il quale possiamo vivere la nostra vita. E, se si ammala o non lo rispettiamo, diventa la prigione dei nostri sogni. Praticate sport, curatevi, mangiate bene, ma sempre con razionalità e rispetto verso voi stessi.